Il bosco delle Tufarelle e i ruderi di Tolfa Nuova (Allumiere) – Fondata nel IX secolo, Tolfa Nova condivideva con Tolfa Vecchia (l’unica sopravvissuta, sebbene fosse meno popolata e meno potente) non solo il nome, ma anche l’esser stata edificata sulla cima di una collina appuntita, pressoché imprendibile ed estremamente panoramica. Dalla torre ottagonale della Rocca si poteva dominare gran parte di questo angolo di Tuscia, e anche un tratto di costa, rendendo Tolfa Nova un avamposto di notevole importanza, passato varie volte di mano e infine distrutta dall’esercito pontificio nel corso della guerra che opponeva Eugenio IV ai Colonna. Quel che rimaneva dell’abitato fu restituito agli Orsini, nel 1471, da papa Sisto IV, ma già qualche anno dopo si parla solo di “tenuta”, essendo oramai definitivamente abbandonato il borgo. Oggi l’area archeologica, immersa in un fitto bosco, costituisce una meta di prim’ordine per chiunque apprezzi le suggestioni dei luoghi “romantici” in cui natura e storia si fondono armoniosamente.
Per escursionisti mediamente esperti e allenati (soprattutto per la salita finale di ritorno dal bosco; dislivelli complessivi intorno ai 300 m).

Eremi del Fiora e insediamento di Chiusa San Salvatore (Ischia di Castro) – Il fiume Fiora, famoso per la limpidezza delle sue acque (parzialmente compromessa, recentemente), che avrebbero ospitato la Lontra (la cui presenza ancora oggi è quantomeno dubbia), segna buona parte del confine tra il Lazio e la Toscana, così come un tempo tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio. La bassa valle, a monte di Vulci, è un comprensorio insolitamente selvaggio e solitario, in cui nel Medioevo e poi nei primi anni del Rinascimento trovarono rifugio numerosi eremiti. Il più grande degli eremi rimasti (e in effetti assimilabile a un monastero) è quello detto di Ripatonna Cicognina, organizzato in diverse camere comunicanti e con una chiesa con ancora tracce di affreschi. Un secondo eremo, più piccolo del precedente, ma se possibile ancora più spettacolare, è collocato in una piccola forra laterale rispetto alla valle del Fiora, e nei pressi di una piccola cascata. L’eremo di Poggio Conte (XIII secolo), o meglio la chiesa rupestre che ne era parte integrante, conserva tracce di decorazioni pittoriche e rilievi ricavati nella roccia, oltre a un bel portale gotico. La passeggiata per raggiungerlo offre innumerevoli spunti fotografici e paesaggistici, in ambiente tranquillo e verdeggiante.

Roccaccia di Montauto (Manciano, GR) – Collocata proprio sul confine regionale tra Toscana e Lazio (e un tempo, come detto, tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana), la Roccaccia di Montauto è un rudere poderoso e di grande bellezza, che svetta sul vertice di una collina alta poco più di 400 m che si staglia sulla piana attraversata dalla Fiora, e da cui si gode un incomparabile e amplissimo panorama verso la Tuscia e la costa tirrenica, su fino all’Argentario e anche oltre. La rocca, di cui si hanno notizie sin dai tempi di Carlo Magno, il quale la donò all’Abbazia delle Tre Fontane a Roma, durante il XIII secolo entrò a far parte dei possedimenti degli Aldobrandeschi; dopo esser passata a Orvieto e a Siena, che nel 1470 la restaurò, venne conquistata dai pirati di Corsica e poi ripresa dai senesi. Infine fu abbandonata per motivi oscuri, ma probabilmente per il venir meno della sua utilità.
Escursione con un certo dislivello, ma non troppo faticosa, adatta a chiunque abbia un minimo di allenamento.

I Calanchi di Civita – Civita di Bagnoregio è una delle mete più note e frequentate della Tuscia viterbese. Difficile, d’altra parte, resistere al fascino di questo paesino tutto raccolto su uno sperone di roccia che tende a sgretolarsi, collocato al centro di una sorta di Grand Canyon in sedicesimo, con candidi calanchi che mutano forma, si può dire, di anno in anno.
Escursione non faticosa, adatta a escursionisti con un minimo di allenamento e pratica.

La montagna di Viterbo – La Palanzana è una vetta secondaria del complesso vulcanico cimino, ed è davvero la “montagna di Viterbo”, che è sorta anticamente ai suoi piedi e poi si è allargata sino a circondarla. Secondo la leggenda, sul monte, nella località Vallis Vecchiarelle (pendici occidentali), dentro una grotta è nascosto un tesoro in monete d’oro. Come sempre, molti lo hanno cercato, ma nessuno è riuscito a trovarlo anche perché ben difeso da forze oscure e malevole. Ma non è solo il diavolo ad aver frequentato la montagna. In una guida turistica del 1889, si descrivono i pochi resti presenti sulla vetta del monte: ”sull’altezza del monte esistono due incavi, volgarmente chiamati le cune dei beati Valentino ed Ilario, e una pia leggenda vuole che in essi i due beati si nascondessero a pregare e far penitenza…”. La testimonianza più evidente degli insediamenti che occuparono l’area del monte La Palanzana (Plebe San Pietro e Plebe Santa Maria in Fagiano) sono in effetti i ruderi dell’antica pieve (Santa Maria alla Palanzana) che sorgeva esattamente sulla vetta del rilievo vulcanico, che si raggiunge con una breve ma faticosa salita. E’ anche possibile, se le forze restanti lo consentono, effettuare la visita della vicina e suggestiva forra dell’Arcionelli, con i resti del vecchio acquedotto di Viterbo, risalente ai primi anni del XX secolo.
Escursione mediamente faticosa, soprattutto per l’acclività della salita. Adatta a escursionisti mediamente esperti e allenati.

Monte Fogliano e romitorio di San Girolamo (Vetralla) – Fra Girolamo Gabrielli nacque da una facoltosa famiglia senese nel 1525. Deciso a dedicare tutta la sua vita alla meditazione e alla preghiera, scelse il monte Fogliano, che fa parte della cinta craterica del lago di Vico, come luogo dove costruire un romitorio rupestre. Questo monte, che visto dal lago appare come un’ampia collina (sfiora però i 1000 metri di quota) dal vertice quasi pianeggiante, è interamente ricoperto da fitti boschi d’alto fusto, come il vicino Monte Venere. In particolare, nel territorio appartenente a Vetralla, vegeta uno dei più bei boschi del Lazio settentrionale, il bosco di Sant’Angelo, con alberi secolari che si alzano per decine di metri dal sottobosco e caratterizzato dalla presenza nell’area sommitale di una splendida faggeta.
Passeggiata poco faticosa, adatta a chiunque abbia un minimo di allenamento.

Castello di Luco e Valle Oscura (Soriano) – Un fitto bosco, a prevalenza di cerro governato a ceduo, ma comunque molto interessante, ricopre i fianchi di alcune forre tufacee, a ridosso della superstrada Orte-Viterbo e della bella torre di Santa Maria di Luco, scavate da modesti torrentelli (sarebbe meglio dire rigagnoli) che però hanno dato vita ad habitat di grande suggestione, con pareti verticali e massi ricoperti di muschio e felci, dove trovano rifugio numerose specie animali. A parte l’aspetto naturalistico, però, le valli del Mandrione e del suo affluente fosso Valle Oscura, offrono la possibilità di fare un vero e proprio viaggio nella storia, con numerose testimonianze archeologiche, soprattutto di epoca etrusco-romana. Tra le emergenze più intriganti, si trovano i poderosi resti di due dighe in blocchi poligonali di peperino, risalenti al IV-III sec. a.C., oltre a tombe, tagliate, necropoli e ai resti di insediamenti di epoca medievale, che danno testimonianza della frequentazione del sito nel corso dei secoli.
L’escursione è facile e non faticosa, con pochi dislivelli.Unica difficoltà la presenza di guadi (facili) e l’umidità ambientale che rende scivolose le pietre.

La Piramide etrusca, Colle Casale e la Tagliata delle Rocchette (Bomarzo e Soriano) – La cosiddetta “piramide” è in realtà un grandioso altare sacrificale di epoca romana, che per le forme e le dimensioni non ha eguali in nessun altro luogo dell’Etruria. L’utilizzo sacrificale è testimoniato dagli spazi destinati ad accogliere le vittime e dai canali di scolo del sangue, che veniva raccolto perché ritenuto sacro e utilizzato in numerosi altri riti. Il monumento è stato scoperto solo nel 1991, e risulta ancora poco studiato, nonostante la sua rilevanza. Nella zona esistono innumerevoli altre testimonianze archeologiche, di varie epoche (ad esempio una tagliata romana del I sec. d.C. appartenuta ai Domitii), e in particolare di epoca medievale, con i resti suggestivi di Santa Cecilia e il non lontano insediamento di Colle Casale, legato alla memoria di Pierpaolo Pasolini.
Il giro completo è adatto a escursionisti con un minimo di esperienza e allenamento. Facile anche se non brevissimo.

Il Cavo degli Zucchi (Civita Castellana) – Sulla via Amerina, una serie di emergenze archeologiche, paesaggistiche e naturalistiche attendono il visitatore per stupirlo. Il Cavo degli Zucchi è una tagliata attraversata dalla strada romana, ancora perfettamente basolata, in cui si aprono decine di tombe, tra cui la cosiddetta, e spettacolare, Tomba della Regina.
Escursione breve e relativamente facile, ma con tratti scivolosi e qualche piccola difficoltà.

Castelli tra Calcata e Faleria – Faleria si trova in un’area ricca di forre, e il paese stesso è edificato su uno sperone roccioso circondato da pareti strapiombanti. Il castello di Fogliano, edificato su una stretta lingua di roccia delimitata dai fossi della Banditaccia e della Mola è sorto su un antico pagus falisco, appartenne agli Anguillara e poi ai Frangipane e risulta diruto già dalla metà del XVI secolo. Lo si raggiunge con percorso semipianeggiante e piacevole tra gli alberi (si incontrano diverse aree picnic e piazzole attrezzate), per poco più di due chilometro, sino ai ruderi, che comprendono una torre mozzata, un tratto di mura della chiesa, con l’abside, e ampie parti della fortificazione, con diverse grotte e abitazioni rupestri. Belli gli affacci sulle forre e verso il pianoro dove sorge Castel Paterno (poco visibile perché coperto dalla vegetazione). Una visita a questo territorio di così grande fascino non potrebbe dirsi completa senza una passeggiata a Calcata che si può raggiungere partendo direttamente dal Treja grazie a un bellissimo sentiero, che offre molti spunti fotografici.
Itinerario adatto a escursionisti con un minimo di allenamento e preparazione. Poco faticoso.

Testi e foto di Marco Scataglini